Io ed il telefono abbiamo un pessimo rapporto. Non mi piace dipendere da lui ed essere sempre reperibile. Non mi piace dover sempre rispondere quando non ne ho voglia o sono presa dalle piccole. Riuscire a non perdere una chiamata è sempre più spesso un’ impresa dall’aria impossibile, cosa che è peggiorata notevolmente da quando sono mamma.
Al giorno d’oggi tanti lavori presuppongano che si possieda anche un telefono aziendale. Si tratta di un apparecchio che difficilmente verrà spento: mai in caso di malattia e di espatrio. Ok per la notte ma per il weekend dipenderà dalla voglia che avrai di rischiare, perchè ricorda che le le bombe scoppiano sempre il venerdì sera prima di cena, proprio quando stai facendo un aperitivo!
E comunque telefono e cervello sono strettamente connessi: si spengono insieme (o meno).
Scelte di vita oserei dire!
Il mio patto con il diavolo ha da sempre predisposto che io fossi donna con telefono aziendale e come tale, con una responsabilità, una funzionalità e una reattività assolutamente non naif. Ho impiegato oltre 5 anni a diventare ligia al dovere. E così oggi con questo altro telefono (numero che hanno in pochissimi) sono allineata al mondo, con l’altro (numero che hanno tutti) sono sempre peggio.
Da neanche 5 mesi, però le cose si sono complicate perchè si è ufficialmente messo in mezzo un secondo Iphone quasi identico a quello che avevo già. Ok nessun problema, che vuoi che sia un secondo telefono Iphone (dicevo tra me e me… ) basta mettere due cover diverse…daltronde con il vecchio Blackberry le cose andavano più o meno bene, era infrangibile e privo di appeal extra lavoro.
Ecco invece cosa è accaduto.
- Prima di uscire di casa (da qualunque casa) perdo regolarmente 10 minuti nella ricerca di uno dei due. Per di più questo amaro momento avviene spesso e volentieri quando tutti sono sulla porta ed allora se il livello di complessità è alto il bivio è: abbandonare o ri-spogliare tutti. E’ inutile ma il mio cervello riesce a ricordarsi solo dove posiziono uno di essi. Per l’altro ho solo un effetto deja vu’.
- Non riesco a trovare un metodo corretto per metterli in borsa: se li metto vicino ho come la sensazione che si “smagnetizzino”. Ovviamente questo non può accadere ma quando sono nello stessa tasca non mi ci trovo; quando sono in tasche diverse però accade che uno dei due avrà un posto più sfigato dell’altro. Casualmente difatti quello che “da contratto” doveva essere giustamente trattato meglio, dopo neanche un mese di vita è annegato in una melassa di sciroppo al miele che si è rovesciato nella mia borsa per via di un tappo avvitato male. Dopo questa dose intensa di Grintuss-tosse secca per bambini, non era più quello di un tempo e così presto fu rimpiazzato, accompagnato da tanto di nota sul registro da far firmare ai genitori.
- Un Iphone che solo un anno prima era arrivato in dono è stato smarrito durante una poetica passeggiata in bici in cui ne avevo una avanti ed una dietro. Non c’era molto karma con me quel venerdì 17, loro urlavano per via di chi doveva stare davanti in bici (questo è un altro tema che un dì racconterò) ed io sono rimasta vittima della mia stessa superstizione. Pensavo di averlo messo in borsa invece questa gestualità riguardava l’altro. Forse l’ho messo in tasca, forse l’ho buttato in un cestino pensando di avere in mano un pacchetto di fazzoletti sporchi. ..Mistero mai risolto. Giallo chiuso. Rassegnazione pura.
- Trascorro decisametne troppo tempo a cercare di togliere i telefoni dalle mani delle bimbe che appena li vedono (anche quando sono scrupolosamente nascosti) vogliono farne il loro “tesssoroooo”. Eppure sono sempre stata molto ferma verso l’idea che uno smartphone non debba servire da baby sitter neanche nei momenti più complessi. E quindi non li ho mai affidati volutamente nelle loro manine killer. Ho anche sempre chiesto ai nonni di non giocarci sia per le onde che per non vivere un di’ io stessa certe situazioni della serie “ho 6 anni e voglio un telefonino per Natale!”. Guerra persa la mia ovviamente!
- Qualche giorno fa ho visto Nina in maniera del tutto indipendente prendere furtivamente un mio telefono (mentre scrivevo una mail di lavoro con l’altro) ed iniziare a spararsi da da sola i sui primi selfie.
Non ero pronta, non ho mai insegnato nulla di tutto ciò (figurati se spiego a mia figlia di 2 anni a come farsi un autoscatto! al sol pensiero rabbrividisco). Non le avevo esplitamente trasmesso nulla ma lei aveva recepito comunque.
La prima frase fuori dai denti che mi è venuta da scrivere adesso è retorica pura: “Pazzesca questa new generation di piccoli nerd…sono ufficialmente più svegli di noi!”.
La seconda forse è un pochino più sensata e non guarda verso di loro ma verso di noi: i grandi.
Non è che ci siamo troppo intossicati da questa gestualità? Generazioni di 30enni/40enni…generazioni di Mamme con un telefono sempre in mano, sempre a chattare, fotografare, inviare. Colpa nostra, colpa mia: mostriamo ai loro occhi una dinamica poco sana.
Guardando al mio orticello dichiaro ufficialmente di essere un cattivo esempio. Oggi per quanto rimango ancora un po’ naif nella mia sfera personale (e comunque perdo un sacco di tempo inutile dietro app, chat e bacheche) invece sono piuttosto ossessionata dal telefono scrivania che mi porto in borsa, al quale inevitabilmente do un grande peso e spazio proprio quando sono con loro.
Oggi chiamerò qualche amico e parlerò volutamente con lui. Voglio trasmettere alle piccole un senso e non un’ossessione. Ecco è questo il punto cruciale: devo spiegare alle mie figlie che sono nate dentro questa (de)generation che il telefono serve per parlare.
Devo tornare indietro di almeno tre decenni: quando il telefono era emozione e non devozione.
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